venerdì 24 ottobre 2014

Wild India!!


Come ogni anno, il prossimo febbraio/marzo 2015 faremo una bella scampagnata nelle foreste indiane. Itinerario ecoturistico sorprendente per gli avvistamenti dei grandi felini (tra cui LEI) e per la megafauna (parliamo di bestie obese sopra i 1000 kg).Tanti uccelli (molti endemici), qualche rettile, una moltitudine di palchi e corna, primati che volteggiano…
Qui si rivaleggia con l’Africa per abbondanza e diversità. Ma scordatevi le resse (il turismo naturalistico è per lo più indiano), e magari rispolverate Kipling e Salgari, che l’atmosfera è rimasta quella.
Visto lo strepitoso successo degli ultimi due anni in termini di avvistamenti, anche il prossimo inverno ripeteremo l’itinerario che tocca i 5 parchi nazionali di Sasan Gir, Velavadar, Bandhavgarh, Kanha e Kaziranga. Dalla penisola del Gujarat nell’ovest fino alle aree più remote dell’Assam a est.

Non è proprio andata così:

 

…ma abbiamo avuto la nostra dose di avventura.
Queste sono a grandi linee le bestie che ci hanno accolto lo scorso inverno (mammals only…).

 

Sasan Gir

L’obiettivo dei safari in questa foresta secca è evidentemente il leone asiatico (Panthera leo persica). Direi che siamo stati fortunati (e bravi):





 
con la parata finale del bel maschio come ricompensa della frustrazione dei primi due safari.
Ovviamente tanti chital, o cervi pomellati (Axis axis) con i loro associati entelli, (Semnopithecus entellus), qualche Nilgai (Boselaphus tragocamelus) e qualche mangusta grigia indiana (Herpestes edwardsii)  in, ehm, attività…







Poi altre piccole e insignificanti cosette, tra cui tre leopardi (Panthera pardus fusca), di cui uno in caccia su chital. Roba del genere insomma:




 
in cui si osserva bene la scomparsa del gattone tra le foglie (ocelli e vela bianca della coda nascosti…), la triangolazione del chital e l’avvertimento con lo zoccolo, e la frustrazione finale del micione.
QUI trovate il video se volete proprio farvi male…

Missing: iena striata (Hyaena hyaena) e Chinkara, o gazzella indiana (Gazella bennettii). Ci contiamo per il prossimo inverno.


Velavadar

Anche qui si va sul sicuro. Il meraviglioso Bluckbuck (Antilope cervicapra) si avvista già all’approssimarsi del Parco Nazionale, dopo si può consumare un’intera scheda di memoria a fotografarlo in gruppo, maschi, femmine, adulti subadulti…





Anche qualche scena dinamica, con un cane che si crede lupo




 A proposito di lupi: Velavadar è noto per la facilità di osservazione del Canis lupus Effettivamente lo abbiamo intercettato, anche se ad una distanza imbarazzante, degna da un avvistamento di Bigfoot:



 Poi ancora molti cinghiali (Sus scrofa cristatus), nilgai e poi lui, che non ruggisce, non spaventa ma è terribilmente bello (e mimetico): il gatto della giungla (Felis chaus)



 Sono emozioni. Leone, leopardo e gatto della giungla in due parchi. Deve ancora arrivare LEI, ma questi gattoni hanno preparato l’humus adatto.

 

Bandhavgarh

In questo Parco, antico possedimento del maharaja di Rewa, ci si immerge nell’India più classica: giungla umida e spazi aperti degni di Kipling. Inutile dire che siamo qui per LEI: la tigre del Bengala (Panthera tigris ssp. tigris). Nell’ambiente dell’ecoturismo questo parco è riconosciuto negli ultimi anni come il migliore per l’osservazione della tigre (oltre che in termini di conservazione nell’ambito del Project Tiger): effettivamente a vedere quello che è ci ha regalato l’anno prima tremano le gambe per l’inevitabile confronto:




Con le tigri accidentalmente colte anche di notte sul bordo strada.


Quest’anno non ci va bene: su 6 safari, tra richiami di allarme, impronte fresche e sterzate in jeep portiamo a casa un solo avvistamento, ma da brividi: un maschio enorme di oltre 200 kg. Il suo nome: Blue eyes. Il principe azzurro insomma.




 
Il motivo è presto detto: un territorio scoperto perso da un maschio dominante e conteso da due o tre giovinotti, con addio a pattugliamenti prevedibili e costanti all’alba e tramonto.
Proveremo a Kanha ad avere più fortuna, intanto però arricchiamo i nostri avvistamenti con dei bell’esemplari di sciacallo dorato (Canis aureus), l’imponente gaur (Bos gaurus), il sambar (Rusa unicolor), il muntjac (Muntiacus muntjak), il chowsingha o antilope quadricorne (Tetracerus quadricornis) e l’orso labiato (Melursus ursinus).
Anche tanti macachi rhesus (Macaca mulatta), oltre che i soliti chital. 








Ah, il nostro secondo gatto della giungla ci viene a trovare al lodge:



 

Kanha

Con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di sangue informiamo ai driver e ai guardaparco che la tigre è la nostra priorità nei safari a Kanha, anche se capiscono bene che la nostra non è una priorità ma un’ossessione ormai. Quindi vanno bene i pavoni, i gaur, sambar, chital e compagnia bella, ma che si dia inizio alla caccia.
Beh, che dire, Kipling non sbaglia: 3 safari e 5 avvistamenti di tigri (4 esemplari), principalmente subadulti e femmine.





Ormai rilassati e soddisfatti da questa overdose di tigri ci gustiamo tutto il resto, principalmente il barasingha (Rucervus duvaucelii branderi, rarissima sottospecie, ridotta in passato a soli 60 individui). 




Di sfuggita intravediamo anche un leopardo sopra una roccia che scompare subito.
Missione compiuta, è ora di muoversi a est a vedere i giganti.

 

Kaziranga

Il Regno degli Unicorni, così viene definito questo Parco Nazionale incastrato tra il Bhutan, il Tibet, il Bangladesh e il Myanmar. O dei Giganti, vista la mole della fauna preservata in maniera estesa solo qui in Asia. Rinoceronte indiano (Rhinoceros unicornis, fino a 2100 kg), elefante asiatico (Elephas maximus fino a 3000 kg), bufalo asiatico selvatico (Bubalus arnee, fino a 1200 kg) e gaur (Bos gaurus, fino a 1200 kg) sono i FabFour di questo parco nella piana alluvionale del Brahmaputra.



Non occorre neanche cercarli, ma per avvicinarli meglio utilizzare mezzi alternativi:


La tigre ha numeri da capogiro in questo parco (la più alta al mondo), ma la difficoltà nell’avvistarla è dovuta all’alta vegetazione erbacea. Eppure riusciamo anche qui a vederla, a distanza siderale sdraiata in riva ad un laghetto. Il nostro settimo avvistamento, da piangere dall’emozione.


Tra le new entries è facilmente avvistabile il cervo porcino (Axis porcinus) dall’inconfondibile assetto e modo di correre e la lontra liscia (Lutrogale perspicillata) 



 
Con una volpe volante indiana che segue dall’alto la nostra jeep la sera, si conclude il nostro itinerario indiano. Non abbiamo accennato alla moltitudine di uccelli, ai rettili (pitone moluro, coccodrillo palustre, varano del bengala…) e ai panorami e alle magiche suggestioni che l’India ci ha regalato.
Di sicuro affiancheremo in futuro almeno un altro itinerario a quello qui descritto: la zona dell’Assam merita sicuramente un approfondimento, principalmente per i primati (gibbone hoolock, langur dorato, loris lento, vari macachi…), i felini (leopardo nebuloso, tigre), orsi, dhole e magari il Platanista, o delfino di fiume. L’Hymalaya pure (il Ladakh anche se lontano si presterebbe bene a questo itinerario settentrionale): coniugare la straordinaria fauna dell’Assam con quella dell’Hymalaya (antilopi e tutti gli straordinari bovidi di alta quota, oltre che naturalmente LUI, il leopardo delle nevi) sembra fattibile.

Stay tuned!












giovedì 16 ottobre 2014

Dell’Arca di Noé e delle sorprese ecologiche che ci aspettano

Navighi nei tumultuosi mari del web e inciampi in questo:





 

Sì, come no. Il perché poi, vallo a sapere. Aspetti, in stato catatonico, che i cinque centimetri del nervo ottico trasportino questa assurdità fino a chiasma ottico e poi alla corteccia visiva del cervello. Poi incominci a elaborare l’informazione.
La prima cosa emersa dalla mia corteccia è stata questa:


 
perché, penso argutamente, qualcuno di quegli orsi dovrà pure passare dai tropici.
Poi mi arriva inesorabile la consapevolezza dell’assurdo e la follia del raziocinio che a braccetto ti spingono alla vera domanda: COME?

Così?

 Oppure così?





 

Ilarità ovviamente. Ma intanto non mi accorgo che, fantasticando su tutti questi bestioni pelosi stivati in qualche furgone DHL, sto già googlando “animal translocations”.

E qui arrivano le sorprese. Perché si scopre che il mondo della conservazione si sta da poco interrogando su questi traslochi…ehm…spostamenti di animali.
O meglio: conservation traslocation. 

 
In un recente articolo apparso su Science (!) il Professor Philip Seddon dell’ Università of Otago cerca di fare quadrato su questa nuova tendenza in ambito conservazionistico. Nuova perché qui non si tratta di una semplice reintroduzione di animali (praticata da sempre dagli uomini), ma di ben altro.

 
Ma prima chiariamo alcune cose. Il quadro non è dei più idilliaci, Stefano Benni ci suggerirebbe che “ci sarà gran piangianza e gran ridanza”.


  • Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di sesta estinzione di massa, perdita di biodiversità, frammentazione di habitat, deforestazione, riscaldamento globale e compagnia bella. La cosa è seria e ben nota: le specie animali (e non) stanno scomparendo ad un ritmo da techno music, e sì…., sembra che tra i responsabili l’Homo sapiens sia in prima fila.
  • La contraerea si è gia attivata. Oltre alle strategie più convenzionali (antibracconaggio, limitare la perdita di habitat, istituzione di nuove riserve, piani di reintroduzione, etc.) si fanno largo idee più sovversive. Tra queste quella di dividere il pianeta in due parti, con metà pianeta dedicato alle nostre faccende e l’altra metà alla natura più selvaggia (prima di ridere vi faccio notare che a proporla è il più grande biologo vivente, due premi Pulitzer e degno erede di Darwin: E.O.Wilson). L’altra è quella di spostare questi benedetti animali da un’ area minacciata da una qualche forma di pericolo ad un’ altra che non lo sia. Una flotta di Arche di Noè insomma. E qui entra in gioco il Professor Philip Seddon dell’ Università of Otago.

  
Quello che Seddon dice parte da un presupposto evidente a chi si occupa di strategie di conservazione: lo spostamento di animali in aree dalle quali erano scomparsi (reintroduzione) non porta a risultati soddisfacenti. Prima o poi qualcosa va storto. Solo negli ultimi mesi da noi: Daniza? Alos? Nonsocometichiami?



Occorrono strategie innovative. E per forza controverse. Citando E.O.Wilson:


“Battles are where the fun is. And where the most rapid advances are made”.

 
Quindi perché non spostare forzatamente una specie dalla sua area, assediata ad esempio dalle più violente pressioni antropiche (disboscamento, inquinamento, bracconaggio, guerre), ad un’altra area ecologicamente affine ma non indigena, mai toccata cioè da questa specie? O perché addirittura non operare una “sostituzione ecologica”, ovvero rilasciare una specie nella nuova area per rimpiazzare il ruolo ecologico che aveva in precedenza un’altra specie ormai estinta?  Qui si incomincia a parlare di “assisted colonization” e di “ecological replacement”.

C’è addirittura un manuale dell’IUCN del 2013, dove in 72 pagine di definizioni, linee guida, valutazioni del rischio, strategie e studi di fattibilità si scopre che sì, è un’opzione. O meglio:



While such ‘assisted colonisation’ is controversial, it is expected to be increasingly used in

future biodiversity conservation.”



Non vi basta?

 
“The increasing rate and complexity of global change, including habitat loss, species declines, biological invasions and climate change suggest entry into an age of “ecological surprises” where management solutions based on historical precedent may not always be adequate for future biodiversity conservation needs.”

 
“Ecological surprises”. Sorprese piene di rischi ovviamente. Ma anche di opportunità. 

Non crediate che basti caricare i nostri orsi polari su un Antonov An-225 Mriya diretto verso il polo sud. Per creare questi scenari di spostamento forzato di specie occorrono analisi dettagliate sui requisiti ecologici delle specie (habitat, clima, spostamenti, provenienza genetica, ruolo ecologico, trasmissione di agenti patogeni…), sui requisiti sociali dell’operazione (interessi, conflitti e coinvolgimento delle popolazioni locali, opportunità economiche, meccanismi di comunicazione) oltre che sui requisiti giuridici dell’operazione.



Ma la strada sembra questa.

Preparare l’Arca allora


 
… e cari pinguini, vi presento i vostri nuovi amichetti.