giovedì 16 ottobre 2014

Dell’Arca di Noé e delle sorprese ecologiche che ci aspettano

Navighi nei tumultuosi mari del web e inciampi in questo:





 

Sì, come no. Il perché poi, vallo a sapere. Aspetti, in stato catatonico, che i cinque centimetri del nervo ottico trasportino questa assurdità fino a chiasma ottico e poi alla corteccia visiva del cervello. Poi incominci a elaborare l’informazione.
La prima cosa emersa dalla mia corteccia è stata questa:


 
perché, penso argutamente, qualcuno di quegli orsi dovrà pure passare dai tropici.
Poi mi arriva inesorabile la consapevolezza dell’assurdo e la follia del raziocinio che a braccetto ti spingono alla vera domanda: COME?

Così?

 Oppure così?





 

Ilarità ovviamente. Ma intanto non mi accorgo che, fantasticando su tutti questi bestioni pelosi stivati in qualche furgone DHL, sto già googlando “animal translocations”.

E qui arrivano le sorprese. Perché si scopre che il mondo della conservazione si sta da poco interrogando su questi traslochi…ehm…spostamenti di animali.
O meglio: conservation traslocation. 

 
In un recente articolo apparso su Science (!) il Professor Philip Seddon dell’ Università of Otago cerca di fare quadrato su questa nuova tendenza in ambito conservazionistico. Nuova perché qui non si tratta di una semplice reintroduzione di animali (praticata da sempre dagli uomini), ma di ben altro.

 
Ma prima chiariamo alcune cose. Il quadro non è dei più idilliaci, Stefano Benni ci suggerirebbe che “ci sarà gran piangianza e gran ridanza”.


  • Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di sesta estinzione di massa, perdita di biodiversità, frammentazione di habitat, deforestazione, riscaldamento globale e compagnia bella. La cosa è seria e ben nota: le specie animali (e non) stanno scomparendo ad un ritmo da techno music, e sì…., sembra che tra i responsabili l’Homo sapiens sia in prima fila.
  • La contraerea si è gia attivata. Oltre alle strategie più convenzionali (antibracconaggio, limitare la perdita di habitat, istituzione di nuove riserve, piani di reintroduzione, etc.) si fanno largo idee più sovversive. Tra queste quella di dividere il pianeta in due parti, con metà pianeta dedicato alle nostre faccende e l’altra metà alla natura più selvaggia (prima di ridere vi faccio notare che a proporla è il più grande biologo vivente, due premi Pulitzer e degno erede di Darwin: E.O.Wilson). L’altra è quella di spostare questi benedetti animali da un’ area minacciata da una qualche forma di pericolo ad un’ altra che non lo sia. Una flotta di Arche di Noè insomma. E qui entra in gioco il Professor Philip Seddon dell’ Università of Otago.

  
Quello che Seddon dice parte da un presupposto evidente a chi si occupa di strategie di conservazione: lo spostamento di animali in aree dalle quali erano scomparsi (reintroduzione) non porta a risultati soddisfacenti. Prima o poi qualcosa va storto. Solo negli ultimi mesi da noi: Daniza? Alos? Nonsocometichiami?



Occorrono strategie innovative. E per forza controverse. Citando E.O.Wilson:


“Battles are where the fun is. And where the most rapid advances are made”.

 
Quindi perché non spostare forzatamente una specie dalla sua area, assediata ad esempio dalle più violente pressioni antropiche (disboscamento, inquinamento, bracconaggio, guerre), ad un’altra area ecologicamente affine ma non indigena, mai toccata cioè da questa specie? O perché addirittura non operare una “sostituzione ecologica”, ovvero rilasciare una specie nella nuova area per rimpiazzare il ruolo ecologico che aveva in precedenza un’altra specie ormai estinta?  Qui si incomincia a parlare di “assisted colonization” e di “ecological replacement”.

C’è addirittura un manuale dell’IUCN del 2013, dove in 72 pagine di definizioni, linee guida, valutazioni del rischio, strategie e studi di fattibilità si scopre che sì, è un’opzione. O meglio:



While such ‘assisted colonisation’ is controversial, it is expected to be increasingly used in

future biodiversity conservation.”



Non vi basta?

 
“The increasing rate and complexity of global change, including habitat loss, species declines, biological invasions and climate change suggest entry into an age of “ecological surprises” where management solutions based on historical precedent may not always be adequate for future biodiversity conservation needs.”

 
“Ecological surprises”. Sorprese piene di rischi ovviamente. Ma anche di opportunità. 

Non crediate che basti caricare i nostri orsi polari su un Antonov An-225 Mriya diretto verso il polo sud. Per creare questi scenari di spostamento forzato di specie occorrono analisi dettagliate sui requisiti ecologici delle specie (habitat, clima, spostamenti, provenienza genetica, ruolo ecologico, trasmissione di agenti patogeni…), sui requisiti sociali dell’operazione (interessi, conflitti e coinvolgimento delle popolazioni locali, opportunità economiche, meccanismi di comunicazione) oltre che sui requisiti giuridici dell’operazione.



Ma la strada sembra questa.

Preparare l’Arca allora


 
… e cari pinguini, vi presento i vostri nuovi amichetti.

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