mercoledì 5 novembre 2014

La Termodinamica dell' Ecologia


Mettiamo che una mattina alzandovi dal letto decidiate di volere conoscere quante e quali specie si nascondano nella foresta amazzonica. Un domanda più che lecita, tra la brioche e il cappuccino. Chi di voi ci ha seguito nei nostri ultimi viaggi in Amazzonia, Uganda e altri posti impenetrabili potrebbe avere un cedimento della mascella inferiore a questa richiesta.



La ricetta giusta per eseguire un ottimo ed esaustivo piano di censimento faunistico su larga scala in territori inospitali contempla i seguenti ingredienti (tra i tanti):





 
Che, diciamocelo, appare piuttosto improbabile da realizzare. A meno che non vogliate passare tutte le prossime domeniche della vostra vita a strisciare nel fango e ad arrampicarvi su alberi alti 30 metri sacrificando i picnic fuori porta con la famiglia e le gite col cane.


Ma allora come si fa nella realtà?


Si fa che si prendono una o più piccola aree (plot) o si eseguono dei transetti, e li si vivisezionano per anni, annotando il numero, l’identità, la distribuzione, il comportamento, i rapporti trofici e il maggior numero di altre informazioni riguardo le specie e l’ambiente in cui vivono. Da impazzirci. E poi  in qualche modo si costruisce un modello statistico scegliendo tra le innumerevoli distribuzioni di probabilità possibili, e si estrapolano i dati ad aree sempre più vaste. Un po’ come gli exit-poll elettorali insomma. Da pochi ricostruisco tutti.


 
Una domanda che si trascina irrisolta da lungo tempo nell’ecologia è: come è possibile ricavare informazioni su larga, larghissima scala, riguardo al numero, distribuzione e densità di specie servendosi di pochissimi parametri semplici e facili da individuare? O meglio: come posso ad esempio conoscere con un’ottima approssimazione quante specie di animali (di qualunque tipo, dagli invertebrati in alto sul “canopy” ai felini più elusivi) corrono, volano strisciano in TUTTO il bacino amazzonico? Sì, avete letto bene, TUTTO. E badate bene: senza iniziare il censimento da imberbi  e brufolosi “undergraduated” e finirlo da barbuti e rugosi “full professor”, che tra l’altro non basterebbe.

Quando si incomincia a parlare di macroecologia (il settore di studio che tenta di trovare risposte operative a domande globali da nulla, quali la perdità di biodiversità su larga scala, le conseguenze della frammentazione dell’habitat sul tasso di estinzione delle specie, il ruolo del global warming nell’acidificazione degli oceani e nella trasformazione degli ecosistemi polari, e così via… ) occorre estrapolare in maniera concettualmente semplice, ecologicamente appropriata e ottimale, ovvero priva di “bias”, le tanto temute assunzioni non facenti parti del modello. E per estrapolare occorrono modelli matematici complessi nel risultato ma di facile accesso nella raccolta dei dati.

Ecologia e matematica assieme quindi. Cosa c’è di meglio allora di un fisico teorico esperto di termodinamica per risolvere il puzzle?


 

No, non è Doc. Lui è John Harte. Non andrà in giro in DeLorean ma rimane un mezzo pazzo genialoide, diciamocelo. Yale University, convertito presto all’ecologia dove ha portato il suo immenso bagaglio fisico e statistico al servizio di uno studio monumentale (ancora in corso) sulla simulazione del clima previsto nel 2050 e sui possibili effetti sul suolo e organismi.
Poi ha puntato il suo occhio rapace sulla macroecologia. E ti è venuto fuori con questa:

 http://swarma.org/thesis/doc/xqc20111219192406.pdf

Maximum Entropy Theory of Ecology (METE). Dove in pratica viene recuperata la teoria della “maximum information entropy” (MaxEnt) di metà del ‘900, che, partendo dai principi termodinamici, permette di “scegliere” la migliore distribuzione di probabilità di una serie di dati massimizzando l’informazione, ovvero aumentando la certezza della misura dello stato del sistema. 

 
Ma la genialità di Harte sta nell’applicazione di questa MaxEnt alla macroecologia. Il risultato è questa Maximum Entropy Theory of Ecology (METE), che permette di descrivere accuratamente le comunità ecologiche in una grande varietà di scenari usando solo poche variabili: le dimensioni di una piccola area, il numero di specie e di individui che contiene con il rispettivo tasso metabolico.



Volete sapere quale è stata la prima reazione del mondo accademico?


“You’ve opened up a whole new theory, and you’re an idiot, because we all know that mechanism matters in ecology.”


Tuttavia, l’applicazione della teoria in censimenti effettuati nella foresta panamense, amazzonica e nella catena montuosa dei Wester Ghats indiani dimostrano che il giochino funziona.

 
Spiegare molto con poco è la filosofia. Non occorre più tenere in considerazione la velocità di spostamento del rinoceronte, il numero di accoppiamenti giornaliero del bonobo, la temperatura dell’acqua del fiume o se il giaguaro ha fatto indigestione. Ma bastano solo poche variabili, facili da ottenere.

La straordinaria potenza di questo approccio sta nella sua applicazione a fini conservazionistici. Rispondere a problemi quali stimare la biodiversità di aree immense partendo da piccoli censimenti, stimare il numero di specie potenzialmente in pericolo di estinzione a causa della frammentazione del loro habitat, o determinare la presenza di una specie conoscendo solo i suoi requisiti ecologici, non sembra più rappresentare un grosso problema.

Certo, siamo solo agli inizi e la teoria va perfezionata. Sembra ad esempio non funzionare bene in ecosistemi in rapido cambiamento. Ma Harte sta esplorando nuove frontiere, annusa, inciampa, prova nuove direzioni.

La sua visione per il futuro? Trovare una teoria unificata per l’ecologia, descrivere il mondo vivente con poche variabili.
Esagerato… 





 

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